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Nella dissertazione dottorale si esamina l'interazione tra l'esercizio della potestà dei vescovi diocesani e di quella del Romano Pontefice, mettendo in relazione il can. 381§1, che tratta della potestà del vescovo diocesano nella propria diocesi, con i cann. 331 e 333 §§1-2, che riguardano la potestà del Romano Pontefice, tenendo conto pure del can. 334 in cui si afferma la necessità dei vescovi diocesani all'esercizio del ministero petrino. Partendo dal can. 381§1 e dal can. 333§1, si vuole spiegare come si possono concepire due ordinari per gli stessi sudditi, e come la potestà episcopale ordinaria del papa sulla portio populi Dei, che forma una Chiesa particolare, afferma, rafforza e rivendica la potestà propria del vescovo diocesano, pur avendo il diritto di riservare a sé o ad altra autorità delle cause che sarebbero di competenza del vescovo diocesano. Inoltre, si cerca di vedere come i vescovi diocesani, proprio per la loro capitalità in una Chiesa particolare, sono i vescovi più adatti sia per il governo della Chiesa universale, nel Concilio ecumenico o sparsi per il mondo, sia per aiutare il Papa nel suo ministero primaziale. Si risponde alla domanda su se e come la potestà e la posizione dei vescovi diocesani nel loro rapporto con il Romano Pontefice siano la base per una proposta di attuazione della richiesta di Giovanni Paolo II di cercare nuove forme di esercizio del ministero petrino espressa nell'enciclica Ut unum sint.